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28/01/2017 da Simone Falusi Lascia un commento

Chi paga le spese della CTU?

cyuBuonasera Avvocato, vorrei sottoporle questo quesito: ho svolto presso il tribunale consulenza tecnica d’ufficio come CTU. Nel decreto di liquidazione il giudice poneva provvisoriamente a carico della parte attrice le spese a me dovute. Dopo tre mesi di solleciti senza essere pagato, esce la sentenza che pone a carico della parte convenuta le spese relative alla CTU. A chi devo chiedere adesso le somme a me spettanti, tenendo presente che l’unica comunicazione che ho ricevuto è quella del decretò di liquidazione? Grazie

Una volta decorso il termine per l’impugnazione, il decreto con cui il Giudice liquida le spese del Conselente Tecnico d’Ufficio (CTU) diventa titolo esecutivo per il recupero delle somme qui indicate.

La sentenza pronuniciata al termine del processo, tra le altre cose, disporrà anche su quale parte dovranno ricadere le spese della Consulenza Tecnica d’Ufficio. Tuttavia, la regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza ruguarda esclusivamente le parti del processo e non il Ctu. Per quest’ultimo il titolo per ottenere il recupero delle proprie spese è e rimane il decreto di liquidazione. Pertanto, se nel decreto la parte onerata è individuata nell’attore, l’azione  per il recupero delle spese deve essere diretta nei confronti dell’attore . E ciò anche se la successiva sentenza pone a carico della parte convenuta le spese.

Quindi l’azione di recupero delle somme a te dovute come CTU dovrà essere esercitata nei confronti della parte attrice, quale parte debitrice in forza del titolo esecutivo costituito dal decreto di liquidazione.

Nel caso, tuttavia, tu non riesca a farti pagare dall’attorre, potrai rivolgerti al convenuto: infatti, partendo dal presupposto che la consulenza tecnica d’ufficio è strutturata come ausilio fornito al giudice,  essa costituisce un atto necessario del processo che l’ausiliare compie nell’interesse generale superiore della giustizia e, correlativamente, nell’interesse comune delle parti. Da ciò deriva, in buona sostanza, che tutte le parti del processo sono solidalmente obbligate a pagare il CTU. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione (sentenza 25179/2013).

Concludendo, dovrai prima notificare titolo e precetto alla parte onerata in base al decreto di trasferimento. Nel caso di esito negativo dell’azione esecutiva, potrai agire contro l’altra parte, nei confronti della quale però dovrai procurati un apposito titolo ( decreto ingiuntivo).

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16/01/2014 da Simone Falusi Lascia un commento

Manutenzione del tetto condominiale e divisione delle spese

casaEgr. Avvocato, Sono proprietario di una abitazione di circa mq 100 in un immobile di un piano. Al piano terreno è presente un magazzino adibito ad uso commerciale di proprietà di altro inquilino (sempre di mq 100 circa). Il tetto dell’immobile (costruito nel 1960) necessita di lavori di straordinaria manutenzione (consolidamento travetti, impermeabilizzazione e rifacimento manto), con tanto di infiltrazioni d’acqua nel mio appartamento. Ho più volte avvisato l’inquilino sia verbalmente sia con lettera raccomandata per temuto danno, ma questi avendo acquistato l’immobile da altro proprietario circa un anno e mezzo fa sostiene che non è tenuto a contribuire alle spese e secondo il suo avvocato io dovrei pagare l’intero importo e successivamente rivalermi sul precedente proprietario. Per quanto ho potuto verificare in caso di vizi occulti l’acquirente ha un anno di tempo per rivalersi sul venditore, non capisco cosa c’entra l’inquilino (in questo caso io)? Vorrei inoltre chiedere se è obbligatorio fare richiesta di ATP per ottenere il rimborso della quota del mio inquilino, per i lavori che ho urgenza di eseguire. Nel ringraziare per l’attenzione, Cordiali saluti. Amos M.

Risposta: mi pare di capire che il problema riguarda la ripartizione delle spese straordinarie necessarie per la riparazione del tetto di un fabbricato di due piani fori terra appartenenti a due diversi proprietari (condomini).

Il tetto, in quanto ha la funzione di preservare l’interno dell’intero edificio dagli agenti atmosferici, rientra tra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 cod. civ., la cui proprietà indivisa spetta pro-quota ai singoli condomini. Inoltre, per quanto riguarda la ripartizione tra le spese tra i comproprietari, l’art. 1123 cod. civ. prevede che “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio (….) sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno salvo diversa convenzione”.

Quindi, poiché il tetto copre l’intero edificio (sia il piano primo che il piano terra), le spese di manutenzione devono essere sostenute da tutti e sue i condomini in base ai millesimi di proprietà. La questione dei “vizi occulti” sollevata dall’altro condominio non c’entra nulla in questo caso (semmai ed eventualmente potrà essere sollevata da quel condomino nei confronti di chi gli ha venduto il magazzino).

Inoltre, considerato che l’altro proprietario non intende farsi carico delle spese di rifacimento del tetto, il ricorso all’Accertamento Tecnico Preventivo (la cui funzione è quella di accertare, attraverso un tecnico nominato dal Tribunale, lo stato dei luoghi le opere e le spese necessarie per la manutenzione del tetto, prima dell’inizio dei lavori) è utile e necessaria, anche in funzione della successiva attività di recupero delle spese nei confronti del proprietario del magazzino.

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02/07/2009 da Simone Falusi Lascia un commento

Rinunciare al riscaldamento centralizzato non esonera dalle spese di conservazione dell’impianto

martelloTribunale di Bari, sentenza  25 maggio 2009 n. 1845

Non è tenuto al pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto di riscaldamento il condomino che distaccatosi dall’impianto prova che da quest’ultimo non v’è aggravio di gestione o squilibrio termico.
L’obbligo del condomino di partecipare alle spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale sussiste anche quando il medesimo sia stato autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato ed a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune, ovvero abbia offerto la prova che dal distacco non derivano né un aggravio di gestione od uno squilibrio termico. Solo in tale ultima ipotesi, il condomino è esonerato dall’obbligo del pagamento, ma delle sole spese occorrenti per il suo uso, se il contrario non risulti dal regolamento condominiale. Pertanto, fermo l’obbligo del condomino di partecipare alle spese di conservazione, quest’ultimo potrebbe essere esonerato dalle sole spese occorrenti per l’uso dell’impianto a condizione che dimostri di essere stato autorizzato dall’assemblea condominiale a rinunziare all’uso del riscaldamento, e ad effettuare il distacco delle diramazioni dell’immobile in suo godimento dall’impianto comune.

Fonte: www.giurisprudenzabarese.it

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01/07/2009 da Simone Falusi 1 commento

Contratto di locazione ed interessi sul deposito cauzionale

casaCaro Avv.
Il mio proprietario di casa ha inserito nel contratto una clausola che nega gli interessi sul deposito cauzionale.
Come mi devo comportare? é una clausola lecita?
Grazie

Risposta: il locatore di un immobile urbano è obbligato (anche se nel contratto c’e’ scritto diversamente) a corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale versato da quest’ultimo. Tale obbligo ha natura imperativa in quanto persegue la finalità che la cauzione, mediante gli interessi percepibili dal locatore, possa tradursi in un aumento del canone della locazione. Questi interessi devono essere corrisposti annualmente al conduttore anche in difetto di una sua espressa richiesta. Se il locatore omette di corrispondere alla fine di ogni anno gli interessi, questi si sommano al deposito cauzionale producendo a loro volta interessi.

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21/04/2009 da Simone Falusi Lascia un commento

Separazione: le retta dell’asilo è una spesa straordinaria?

famigliaSalve,
con decreto d’ urgenza, in attesa dell’udienza di separazione giudiziale, il giudice ha affidato a me mio figlio di 2 anni e mezzo. Ha stabilito i giorni di visita del padre ed ha deciso che quest’ultimo deve corrispondere 300 di mantenimento al mese più il 50% delle spese straordinarie. Inoltre sarebbe dovuto uscire dalla casa coniugale entro il 20 febbraio in quanto affidata a me. Lui corrisponde solo il mantenimento in quanto non considera la retta dell’asilo nido (490 euro) spesa straordinaria: lo è o non lo è? E se lo è, come posso fare per ottenerne il pagamento?
Io abito in un appartamento diverso alla casa coniugale (essendo io scappata per percosse), quindi lui è ancora in quella casa; lui ha fatto ricorso presso il tribunale dei minori per avere l’affidamento del figlio. Io lavoro, ho una vita normalissima, rispetto ligiamente tutto cciò che è stato stabilito da giudice: sulla base di quali motivazioni potrebbero affidarlo al padre? Può influire il fatto che egli risieda ancora nella casa coniugale?
Grazie

Risposta: se nel provvedimento del giudice non è specificato che il padre debba farsi carico anche del 50% delle spese per l’istruzione, in aggiunta al versamento della quota di mantenimento per il figlio, non credo che la retta per l’asilo possa essere considerata una spesa straordinaria (infatti nè la legge nè la giurisprudenza indica un elenco preciso delle spese da annoverare tra quelle straordinarie, pertanto  per risulvere tali questioni occorre rifarsi alle regole generali). Se, pertanto, l’importo per il mantenimento del figlio non appare oggettivamente sufficiente, dovrà chiedere la revisione del provvedimento del giudice. 

Quanto all’affidamento del figlio non sappiamo quali siano le ragioni addotte dal padre; in ogni caso la circostanza che egli risieda ancora – contrariamente a quanto previsto nel provvedimento del giudice – nella casa coniugale non mi pare possa costituire un elemento sufficiente per chiedere l’affidamento del figlio.

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07/03/2009 da Simone Falusi Lascia un commento

Condominio e ripartizione delle spese tra alienante e acquirente

casaEgregio avvocato,

di recente ho comprato un appartamento in un condominio e dall’amministratore mi è stato richiesto di pagare dei lavori che furono deliberati dall’assemblea quando ancora l’appartamento non era di mia proprietà ma del mio venditore. Vorrei sapere a chi spetta questa spesa e se posso rivalermi nei confronti del precedente proprietario.
Edoardo 

Risposta: in occasione dei trasferimenti di una porzione di immobile situato in stabili condominiali si pone spesso il problema di come ripartire le spese condominiali tra il venditore e l’acquirente. I contrasti su questo punto che si registrano nelle decisioni dei giudici, hanno forse trovato una composizione in una recente sentenza della Corte di cassazione, la quale ha stabilito che l’obbligo del condomino di pagare i contributi sorge nel momento della concreta esecuzione dei lavori occorrenti per la manutenzione e quindi nel momento che si rende necessaria l’effettuazione della spesa  (Cassazione, Sentenza 16 giugno – 9 settembre 2008, n. 23345).

Secondo la Cassazione nei confronti del condominio l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la concreta attuazione dell’attività di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione.

Quindi,l’obbligazione di ciascun condomino, di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell’assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicché, in caso di compravendita di un’unità immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, è tenuto alla spesa colui che è condomino al momento in cui si rende necessario effettuare la spesa (Cassazione – sentenza n. 6323/2003).

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26/09/2008 da Simone Falusi Lascia un commento

Condominio: no al decreto ingiuntivo per il recupero delle spese dal ‘vecchio’ propriatario

 

Cassazione – Sezione II – sentenza 16 giugno – 9 settembre 2008, n. 23345

Tempi più lunghi per il Condominio che intende recuperare le spese condominali nei confronti di chi ha venduto l’immobile. Se è vero che, da un lato, il condomino alienante è obbligato a rispondere dei contributi maturati quando era ancora proprietario dell’appartamento ancorchè approvati con delibera successiva alla vendita, dall’altro, non è possibile l’utilizzo del decreto ingiuntivo previsto dall’articolo 63 delle Disposizione di attuazione del Codice civile. Infatti, la norma in questione consente l’uso dello strumento del decreto ingiuntivo da parte dell’amministratore del Condominio solo nei confronti di chi è ancora condomino. 

Infatti, secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, in tema di condominio di edificio, in caso di alienazione di un piano o di porzione di un piano, dal momento in cui il trasferimento venga reso noto al condominio, lo status di condomino appartiene all’acquirente, e pertanto soltanto quest’ultimo è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnarne le deliberazioni, mentre il venditore, che non è più legittimato a partecipare direttamente alle assemblee condominiali, può far valere le sue ragioni connesse al pagamento dei contributi (relativi all’anno in corso e a quello precedente, ai sensi dell’art. 63 disp. att. cod. civ.) attraverso l’acquirente che gli è subentrato, e per il quale, anche in relazione al vincolo di solidarietà, si configura una gestione di affari non rappresentativa che importa obbligazioni analoghe a quelle derivanti da un mandato, e fra queste quella di partecipare alle assemblee condominiali e far valere in merito anche le ragioni del suo dante causa.
Ne consegue che se il condomino alienante non è legittimato a partecipare alle assemblee e ad impugnare le delibere condominiali, nei suoi confronti non può essere chiesto ed emesso il decreto ingiuntivo per la riscossione dei contributi, atteso che soltanto nei confronti di colui che rivesta la qualità di condomino può trovare applicazione l’art. 63 primo comma (“per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea l’amministratore può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione”).

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