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05/10/2015 da Simone Falusi Lascia un commento

Insidia stradale: se il pedone cade in una buca il Comune risponde dei danni?

insidia

Gentile avvocato,
a gennaio di quest’anno mia madre è caduta a causa di una buca nell’asfalto vicino a casa sua. La caduta le ha causato la rottura della rotula. Ciò ha comportato un intervento chirurgico per la ricostruzione della rotula stessa. Il seguito è stato altrettanto complicato. Un mese intero di assoluto riposo. Altre corse al pronto soccorso per sopravvenuti problemi circolatori (flebite) ed una ripresa lenta e complicata che ancora oggi crea problemi, non senza risvolti psicologici. Si tratta comunque di una donna di 73 anni. Ci siamo rivolti ad un avvocato sin da subito, il quale ci ha sempre detto che occorreva la cartella clinica di tutto l’iter, perciò abbiamo atteso. Ora su sollecito di mia madre, l’ avvocato ha detto che non è più possibile il risarcimento del danno perché pare sia uscita una nuova legge che non prevede più il risarcimento da parte del Comune in quanto la caduta è avvenuta vicino casa e che quindi, mia madre doveva sapere che c’era la buca e perciò avrebbe dovuto evitarla.
Non ho creduto a questa versione dell’avvocato ma d’altro canto non capisco il perché di questa”scusa”.
La prego mi delucidi in proposito. Grazie.
Beatrice.

Il caso in questione riguarda il risarcimento del danno da c.d. insidia stradale. Il tema è stato ed è tutt’ora oggetto di dibattito e di numerose pronunce dei giudici talvolta in contrasto tra loro.

Senza entrare nel merito di complicate questioni giuridiche cerchiamo di semplificare il problema: se tu sei ospite in casa di amici e cadi, facendoti male, a causa del pavimento sconnesso,  il proprietario di casa dovrà rispondere dei danni che tu hai subito; infatti “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia” (lo dice l’articolo 2051 del codice civile): il custode dunque risponde dei danni causati dalla cosa custodite per il solo fatto di averne la custodia.

Lo stesso principio dovrebbe valere anche per l’infortunio accaduto a tua madre: l’ente pubblico proprietario della strada “bucata” ha il potere di vigilanza e di controllo sulla strada, quindi ha un obbligo di custodia della stessa e risponde degli eventi pregiudizievoli causati da situazioni di pericolo connesse alla struttura della strada stessa. In effetti, anche se in passato si escludeva l’applicazione dell’art. 2051 c.c. alla pubblica amministrazione, oggi la responsabilità del custode viene applicata anche agli enti pubblici proprietari delle strade per i danni subiti dagli utenti della strada.  Quindi anche il Comune proprietario della strada dissestata deve rispondere dei danni subiti dagli utenti della strada medesima per i danni da questa provocati.

Ma – ebbene sì, c’è un ma… – la norma che abbiamo ricordato prima, non prevede soltanto che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia”, ma prosegue facendo salvo “il caso fortuito” (“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito“).

Cosa si intende per caso fortuito? Il caso fortuito è un evento assolutamente imprevedibile che ha come effetto quello di escludere la responsabilità del custode.  Il caso fortuito è quindi un accadimento imprevedibile di per sé sufficiente a produrre l’evento ed estraneo alla sfera di azione del custode. Questo accadimento può consistere in un evento naturale,  nel fatto del terzo o – ed è quello che interessa in questo caso –  nel fatto dello stesso danneggiato. 

Recentemente la Corte di Cassazione  (Ordinanza del 6/7/2015 n. 13930) ha affrontato un caso simile a quello che qui interessa, ovvero la caduta da parte di un pedone a causa di una buca ben visibile vicino casa ed ha stabilito che, ai fini di cui all’art. 2051 cod. civ., “il caso fortuito può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato, poiché la pericolosità della cosa – nella specie, il dissesto stradale – specie se nota o comunque facilmente rilevabile dal soggetto che entra in contatto con la stessa, impone un obbligo massimo di cautela, proprio poiché il pericolo è altamente prevedibile. E tale prevedibilità con l’ordinaria diligenza è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode anche ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. (sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999)”.

Ecco dunque spiegata la cautela dell’avvocato nell’intraprendere un’azione risarcitoria contro il Comune: quest’ultimo, infatti, se dimostra che la buca era ben visibile e che era facilmente rilevabile da tua madre, atteso che si trovava nei pressi di casa sua, quindi in una zona frequentata abitualmente dalla stessa, potrebbe andare esente da responsabilità.

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12/01/2009 da Simone Falusi Lascia un commento

Caduta sul marciapiede dissestato: il Comune risarcisce i danni

marEgregio Avvocato Falusi,
qualche mese fa mia mamma è caduta sul marciapiede antistante la sua abitazione, procurandosi la frattura del braccio sinistro, una ferita lacerocontusa alla fronte, che ha richiesto alcuni punti di sutura, e altri traumi meno significativi ma pur sempre dolorosi al torace e al ginocchio. Ne ha avuto per parecchio tempo perché ha dovuto sottoporsi a terapie fisioterapiche di vario tipo.
Viste le condizioni del marciapiede, visibilmente danneggiato, io e mio fratello le abbiamo consigliato di sporgere denuncia. Nonostante mia mamma sia un’agente di assicurazioni., quindi esperta del settore, lei ha preferito affidarsi ad un avvocato per la richiesta di risarcimento danni.
Sono subito state fatte le foto del marciapiede e, su consiglio dell’avvocato, è stata richiesta una testimonianza scritta ad un condomino che, uscendo o rientrando, aveva tempestivamente prestato i primi soccorsi a mia mamma, chiamato l’ambulanza e suonato il campanello a mio papà che a quell’ora (circa le otto di sera) si trovava a casa.
Passata l’estate e concluse le terapie, l’avvocato ha fatto fare una visita medico legale di parte presso un professionista di sua fiducia. La relazione peritale è pervenuta solo due mesi dopo (sollecitata da mia mamma che intendeva chiudere presto la faccenda) allo studio legale. Insomma, sembra che l’avvocato non si sia data un gran daffare; anzi, pare anche che non fosse così preparata ad affrontare il caso in questione visto che, a suo parere, l’apertura del sinistro presso le Generali (avvenuta nel corso dell’estate) comportava la certezza matematica che il danno sarebbe stato liquidato. Mia madre, competente in materia più dell’avvocato, ha più volte sottolineato che l’apertura del sinistro è un atto dovuto e non implica necessariamente che l’assicurazione poi effettivamente riconosca la responsabilità dell’assicurato (in questo caso il Comune di Trieste), ma non è stata ascoltata, anzi sembrava che i suoi timori fossero infondati, forse dovuti all’età e all’arteriosclerosi che, comunque, non ha!
In sintesi, come mia mamma aveva previsto, le Generali hanno rigettato la richiesta di risarcimento.
Sconcertata, mia mamma ha chiesto all’avvocato come avesse proceduto; è venuta a sapere che ha “trattato” al telefono con la liquidatrice, raccontandole i fatti con imprecisioni e scorrettezze. Ad esempio, ha detto che mia mamma era passata fra due macchine in posteggio, mentre il marciapiede era libero; nel caso ipotizzato dall’avvocato, è evidente che mia madre non sarebbe caduta così rovinosamente ma si sarebbe appoggiata sulle macchine e sarebbe rimasta in piedi. Inoltre, mia mamma è convinta che il tacco della scarpa (certamente non a spillo!) si sia infilato nel buco del marciapiede, tant’è che la calzatura risulta rovinata. Presumo che la liquidatrice non abbia visto le foto (a meno che l’avvocato non le abbia mandate via e-mail), né la dichiarazione del soccorritore, tanto meno la perizia medico-legale. Insomma, oltre a non credere a mia mamma che continuava a dire che l’apertura del sinistro non significava nulla, tanto che non voleva nemmeno fare la visita legale prima di avere notizie certe sull’iter della pratica, l’avvocato si è dimostrata, a mio parere, poco competente e scarsamente professionale.
Io stessa, che non ho alcuna competenza in materia legale, facendo una semplice ricerca su Internet ho trovato una recente sentenza della Cassazione (6 giugno 2008 n. 15042) che pare essere appropriata al caso in questione.
Ora da Lei, avvocato, vorrei sapere: è ancora possibile fare qualche tentativo? Tengo a precisare che mia mamma, nonostante sia nata nel 1930, è ancora in attività, non ha menomazioni che le impediscono una corretta deambulazione, è ben lucida e non ha l’arteriosclerosi, oltre a dimostrare 20 anni di meno. Tanto che anche l’avvocato stentava a credere che avesse quell’età. Tuttavia proprio l’età, secondo il legale, ha influito sulla decisione della liquidatrice: come dire che mia mamma è vecchia, mezza cieca, sbadata e dovrebbe uscire solo se accompagnata da una badante!
Ora sono molto arrabbiata e mi dispiace che, vivendo io a Udine, non possa seguire la faccenda da vicino. Per il momento so che l’avvocato ha proposto a mia mamma di andare in causa, ma lei ha rifiutato perché, dice, alla sua età con le lungaggini della magistratura probabilmente la causa si concluderebbe dopo la sua morte. Io, come figlia, faccio gli scongiuri, ma non posso darle torto.
La ringrazio fin d’ora se vorrà rispondere a questa mia e per il tempo che mi ha già concesso nel leggerla.
Distinti saluti.
Marisa.

Risposta: se fino a qualche anno fa risultava difficile riuscire ottenere un risarcimento da parte della Pubblica Amministrazione (quale custode del bene demaniale) per danni come quelli subito da sua madre, oggi, grazie ad una nuova interpretazione della legge, più favorevole ai danneggiati,  fatta dalla Corte di Cassazione, le cose sono cambiate. 
Infatti, applicando anche ai beni demaniali la norma di cui all’art. 2051 c.c. secono cui “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito“, il danneggiato dovrà provare il nesso causale fra la situazione del bene ed il verificarsi del danno, mentre l’onere di fornire la prova delle circostanze che escludono la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., ( ovvero il caso fortuito) è a carico della P.A.I suddetti principi esprimono, nella sostanza, i peculiari criteri di imputazione della responsabilità per danno da cose in custodia, che debbono essere adottati in relazione ai beni demaniali.

La stessa sentenza della corte di Cassazione da Lei citata (Cass. 15042/2008 ) dopo avere ricordato che il custode di beni privati risponde oggettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del tradizionale principio per cui chi utilizza la cosa nel proprio interesse è tenuto anche a sopportarne i rischi, sia anche in considerazione del fatto che il privato ha il potere di escludere i terzi dall’uso del bene, e così di circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui. Per contro, il custode del bene demaniale destinato all’uso pubblico è esposto a fattori di rischio molteplici, imprevedibili e potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti più o meno civili, corretti e avveduti degli innumerevoli utilizzatori, che egli non può escludere dall’uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni. La responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c., pur in linea di principio innegabile – presenta pertanto un problema di delimitazione dei rischi di cui far carico all’ente gestore e “custode”, la cui soluzione va ricercata in principi non sempre coincidenti con quelli che valgono per i privati. Le peculiarità vanno individuate non solo e non tanto nell’estensione territoriale del bene e nelle concrete possibilità di vigilanza su si esso e sul comportamento degli utenti, quanto piuttosto nella natura e nella tipologia delle cause che abbiano provocato il danno: secondo che esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali, in materia di strade, l’usura o il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, la segnaletica contraddittoria o ingannevole, ecc.), o che si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili nè eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (perdita d’olio ad opera del veicolo di passaggio;abbandono di vetri rotti, ferri arrugginiti, rifiuti tossici od altri agenti offensivi).
Nel primo caso è agevole individuare la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., essendo il custode sicuramente obbligato a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza.Nel secondo caso l’emergere dell’agente dannoso può considerarsi fortuito, quanto meno finchè non sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perchè l’ente gestore acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire ad eliminarlo.

Questi principi stanno ad indicare, per l’appunto, la necessità di addossare al custode i rischi di cui egli possa essere chiamato a rispondere – tenuto conto della natura del bene e della causa del danno – sulla base dei doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, con riferimento a criteri di corretta e diligente gestione. Sotto il profilo sistematico la suddetta selezione dei rischi va compiuta – più che delimitando in astratto l’applicabilità dell’art. 2051 c.c., in relazione al carattere demaniale del bene – tramite una più ampia ed elastica applicazione della nozione di caso fortuito. Con riguardo ai beni demaniali, cioè, si presenterà presumibilmente più spesso l’occasione di qualificare come fortuito il fattore di pericolo creato occasionalmente da terzi, che abbia esplicato le sue potenzialità offensive prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode.

Pertanto nel caso di specie, se la causa dell’incidente occorso Sua madre è ravvisabile in un difetto strutturale del marciapiede di proprietà del Comune di Trieste di cui l’ente territoriale non poteva ignorare l’esistenza e che avrebbe dovuto eliminare,  sussiste la responsabilità risarcitoria del Comune per il danno patito da Sua madre.

Il diritto al risarcimento del danno (extracontrattaule) si prescrive in 5 anni, quindi Sua madre può ancora agire contro il Comune. Ovviamente se quest’ultimo respinge le richieste risarcitorie di Sua madre, non vi è altra scelta che ricorre all’Autorità Giudiziaria.

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25/06/2008 da Simone Falusi Lascia un commento

Il condominio non risponde del danno subito da chi scivola sulle scale… se il pericolo era evidente

Cassazione Civ., sentenza 2 aprile – 19 giugno 2008, n. 16607

Il caso esaminato dalla sentenza è quello di una signora che era scivolata nell’atrio dell’edificio condominiale a causa della cera applicata dal custode dello stabile, combinata con l’acqua piovana trasportata dal passaggio degli inquilini. L’infortunata cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Condominio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da essa patiti ai sensi dell’art. 2051 cc, quale custode delle parti comuni dell’edificio o, in subordine, ai sensi dell’art. 2043 CC. Perduta la causa sia primo grado che in secondo grado, la sfortunata signora si rivolge alla Corte di Cassazione, la quale, ancora una volta respinge le richieste risarcitorie avanzate contro il condominio.
Sostiene, infatti, la Corte di Cassazione che la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. è esclusa soltanto quando il danno sia eziologicamente riconducibile non alla cosa, ma al fortuito senza che rilevi che questo sia costituito da un comportamento umano, nel fatto cioè dello stesso danneggiato o di un terzo. Nel caso in esame si rileva dunque la sussistenza di un comportamento colposo della vittima che, in base alla sua stessa prospettazione dei fatti (aveva, infatti, dichiarato in primo grado che, prima di assicurare la presa ai corrimani delle scale, aveva alzato il piede sinistro sul primo gradino, rendendo così più instabile il proprio equilibrio e rovinando a terra), pur potendo verificare in condizioni di normale visibilità che il pavimento appariva in condizioni di percepibile scivolosità, non aveva prestato la normale diligenza e la dovuta particolare attenzione alla situazione anomala dei luoghi.

Quindi accertato che l’evento dannoso era stato cagionato esclusivamente da caso fortuito (nella specie rappresentato da un fatto imputabile alla stessa persona danneggiata), che per sua intrinseca natura risulta idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno, nessun risarcimento è davuto dal condominio (quale custode delle scale) alla sfortunata signora. Infatti, una volta che sia stato accertato che l’evento lesivo sia stato cagionato esclusivamente dal comportamento della danneggiata, non può trovare applicazione la responsabilità oggettiva del custode ex art. 2051 cc, che presuppone invece la diversa ipotesi dei danni cagionati dalla cosa in custodia per la sua intrinseca natura ovvero per l’insorgenza in essa di fattori, dannosi.

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12/06/2008 da Simone Falusi Lascia un commento

Incidente al cliente nell’hotel: quando paga l’albergo?

Cassazione Civile – sentenza n. 12419/08

La Corte di Cassazione, nella sentenza 12419/08, ha esaminato il caso di un cliente di un hotel che chiedeva il risarcimento dei danni riportati in conseguenza di una caduta all’interno del box doccia della camera dell’albergo e ciò ai sensi dell’art. 2051 c.c. (Danno cagionato da cose in custodia). La Suprema Corte, nel caso di specie, respinge la richiesta dello sfortunato ospite dell’hotel in quanto questi non avrebbe provato il nesso di causalità tra le gravi lesioni subite ed il box doccia: secondo la Corte, per far scattare la responsabilità da custodia del gestore, il danneggiato deve dimostrare il cosiddetto nesso eziologico tra la cosa in custodia ed il danno. Nesso che sussiste quando il pregiudizio è stato causato dal dinamismo connaturato alla cosa o quando in essa è insorto un agente dannoso, anche se proveniente dall’esterno. In termini pratici, quando il box doccia per sua intrinseca natura o per la presenza di agenti esterni risulta concretamente pericoloso.
Solo in presenza di tali presupposti, quindi, si ha diritto al ristore del danno.

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