Salve Avvocato, sono separato da quasi 10 anni ho 2 figli dei quali una di 23 anni che non vuole avere nessun rapporto con me. Pago regolarmente il mantenimento così come stabilito dal giudice, però da circa 2 anni mia figlia lavora in regola e né lei né la madre mi hanno messo al corrente di questo, io lo so per via di conoscenze varie.
Il mio avvocato mi ha detto che senza prove certe non può chiedere niente al giudice ma io le prove come faccio a dirgliele? Gli ho detto il nome esatto delle aziende, adesso non dovrebbe provvedere lui agli accertamenti? Mia figlia ha acquistato un veicolo usato e sta ristrutturando casa insieme al suo fidanzato. Cosa posso fare per interrompere il versamento?
Grazie. Paolo
Prendiamo spunto da questa domanda per illustrare i punti fondamentali in materia di mantenimento dei figli maggiorenni, tema sempre più attuale: infatti, la crisi economica degli ultimi anni ha certamente incrementato il fenomeno dei figli che continuano a vivere con i genitori anche in età avanzata: i giovani che si immettono nel mondo del lavoro tardi e le occasioni lavorative limitate comportano un protrarsi dell’obbligo di mantenimento a carico dei genitori ben oltre la maggiore età.
Cerchiamo, dunque, di chiarire in cosa consiste questo mantenimento, quando e come termina il relativo obbligo dei genitori.
L’art. 30 della Costituzione nello stabilire che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, fissa un principio di portata generale collegato all’essere genitori (sia dentro che fuori dal matrimonio); la norma costituzionale non specifica un limite di età del figlio oltre il quale questo diritto-dovere genitoriale cessa.
Se poi sfogliamo il codice civile, troviamo l’art. 2 che stabilisce che “la maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno“; il che, però, significa solo che i figli maggiorenni non sono più soggetti a quella che, fino a qualche tempo fa, si definiva come “potestà genitoriale”, ovvero ai diritti e ai poteri di indirizzo educativo dei genitori. Il figlio, quindi, ancorché raggiunge la maggiore età, non perde, in virtù del solo dato anagrafico, il diritto al mantenimento da parte dei genitori, sui quali, infatti, permane l’obbligo di “mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis” ( art. 147 c.c.)
E’ opportuno poi ricordare che il diritto al mantenimento non si esaurisce nella sola soddisfazione delle esigenza alimentari, comprendendo anche la soddisfazione di esigenze di studio, di svago, di socializzazione, di sport, di cura della persona. Questa obbligazione di mantenimento deve, inoltre, essere assolta dai genitori “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo” e nel rispetto delle capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni del figlio (artt. 316 bis e 316 bis c.c.).
Stabilito qual’è il contenuto del mantenimento, vediamo adesso quando i genitori possono ritenersi liberati da questa obbligazione. Qual è, insomma, il limite temporale di questo obbligo?
Le coordinate per tracciare questo limite vanno individuate nelle norme sopra richiamate, le quali consentono di fissare sostanzialmente 2 presupposti, in presenza dei quali l’obbligo di mantenimento cessa:
- il primo presupposto del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è che quest’ultimo non sia ancora indipendente economicamente;
- il secondo presupposto è che il figlio non si trovi in colpa per non avere raggiunto l’indipendenza economica.
L’indipendenza economica
Quanto al primo punto: l’obbligo del genitore di contribuire al mantenimento del figlio non cessa dunque automaticamente al raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimo, ma perdura finché il figlio non raggiunga una indipendenza economica. Questo non vuol dire però che è sufficiente che il figlio trovi un qualsiasi impiego remunerato perché cessi l’obbligo del mantenimento da parte dei genitori; vuol dire, invece, che il diritto al mantenimento viene meno solo quando il figlio ha raggiunto la propria autonomia economica, percependo un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali condizioni di mercato, che gli consente di potersi garantire da solo il sostentamento e la soddisfazione dei principali bisogni della vita confacenti alla sua condizioni sociale. Ne consegue, pertanto, che se il figlio coltiva delle aspirazioni e voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera, ciò non può non fa venir meno il dovere al mantenimento da parte del genitore
Da quanto sopra si può comprendere che l’ indipendenza economica è un concetto relativo, sia in quanto legato alla condizione sociale, sia perché destinato a mutare a secondo delle diverse epoche storiche. Occorrerà, quindi, valutare caso per caso se e quando il figlio maggiorenne abbia raggiunto l’indipendenza economica.
Il raggiungimento dell’autonomia non coincide quindi con l’instaurazione effettiva di un rapporto di lavoro giuridicamente stabile, ma con il verificarsi di una situazione tale da far ragionevolmente dedurne l’acquisto, anche se per licenziamento, dimissioni o altra causa tale rapporto lavorativo venga poi meno.
Ad esempio si è ritenuto che il figlio con diploma di ragioniere assunto come commesso part-time con contratto a tempi indeterminato, non perda il diritto al mantenimento; è ciò in quanto l’attività lavorativa in questione non era corrispondente alla professionalità acquisita.
Si è detto sopra che se l’obbligo di mantenimento da parte del genitore viene meno per avere il figlio reperito un lavoro adeguato alla professionalità acquisita, ciò non di meno la successiva perdita del lavoro non è circostanza che fa risorgere l’obbligo di mantenimento predetto. In caso di perdita dell’impiego, il figlio, sempre che l’evento che abbia determinato la perdita dell’indipendenza economica non sia a lui imputabile, potrà reclamare solo gli alimenti (ovvero i mezzi necessari per soddisfare le esigenza primarie).
L’assenza di colpa
Tuttavia, la condizione di dipendenza o indipendenza economica del figlio confacente alla sua condizione non è l’unico aspetto da considerare per accertare la sussistenza o meno del diritto al mantenimento. Infatti, occorre tenere presente anche un secondo presupposto che consiste nel verificare che il figlio non si trovi in colpa per non avere raggiunto la propria emancipazione.
La valutazione del comportamento colposo o inerte del figlio deve essere fatta caso per caso, tenendo conto delle sue aspirazioni, delle sue capacità, del percorso scolastico, universitario e post universitario, delle condizioni del mercato del lavoro, nonché delle condizioni economiche della famiglia.
Il figlio studente universitario che per ingiustificata inerzia non si decide a terminare gli studi perde il diritto al mantenimento. Lo stesso dicasi per il figlio che non si dedica alla ricerca di una attività lavorativa, ovvero rifiuti impieghi compatibili con le sue aspirazioni.
L’onere della prova
Quindi, riassumendo, l’obbligo dei genitori di fare fronte al sostentamento del figlio cessa quando quest’ultimo si è reso economicamente indipendente, oppure in caso di persistenza inerzia del figlio nel conseguire l’autonomia sul piano economico.
Il genitore, quindi, che sostiene di non essere più tenuto a mantenere il figlio, ricorrendo uno dei due presupposti anzidetti, vede gravare su di sé l’onere di provare una delle suddette circostanze.
Spetta, infatti, al genitore dimostrare che il figlio non ha più diritto al mantenimento o in quanto è diventato autosufficiente, oppure in quanto il mancato svolgimento di attività lavorativa sia imputabile ad inerzia del figlio.
Questo onere probatorio può essere assolto anche con indicazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l’estinzione dell’obbligazione di mantenimento. La valutazione delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni verrà effettuata dal giudice caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei figli, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe – come si è espressa la Corte di Cassazione – in forme di parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani.
L’avanzare dell’età del figlio, quindi, non è ininfluente ai fini della prova di cui si discute. Con il raggiungimento di un’età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche (di salute, o dovute ad altre peculiari contingenze personali, od oggettive quali le difficoltà di reperimento o di conservazione di un’occupazione) costituisce un indicatore forte d’inerzia colpevole.
Concludendo: il caso in esame andrà esaminato in base ai criteri che qui si sono esposti. Non vedo, inoltre, alcun problema particolare nell’acquisire le prove che la figlia abbia intrapreso una regolare attività lavorativa.
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