Cosa succede se l’immobile non può essere utilizzato a causa dei decreti che impediscono l’apertura degli esercizi commerciali? E’ possibile invocare la causa di “forza maggiore” per sospendere i pagamenti dei canoni di locazione o di affitto delle aziende?
Come noto, allo scopo di contrastate l’emergenza epidemiologica provocata dal Coronavirs Covid-19 e, quindi, allo scopo di tutelare la salute delle persone, il governo è stato costretto ad adottare una serie provvedimenti che impongono, oltre alla limitazione alla circolazione delle persone, la chiusura di tutte le attività commerciali e produttive ritenute non essenziali.
In questo articolo puoi consultare i provvedimenti normativi adottati dal Governo a seguito dell’emergenza sanitaria Coronavirus (COVID-19):
In particolare, con il D.P.C.M. del 22 marzo 2020 n. 18 (Decreto “Cura Italia”) è stata disposta la sospensione di tutte le attività produttive e commerciali ad eccezione di quelle ritenute essenziali (indicate specificatamente nell’allegato 1 al decreto). Gli effetti e le ricadute sulle attività commerciali sono considerevoli: le aziende, dovendo rimanere chiuse non guadagnano, e quindi saranno costrette a ridurre le perdite tagliando e/o riducendo le voci di spesa più onerose, tra cui sicuramente ci sono i canoni di locazione dell’immobile in cui viene svolta l’attività.
Una situazione che rischia quindi di creare grossi problemi non solo a quelle attività (commericali, produttive ed anche professionali) costrette allo stop per la grave emergenza sanitaria in corso, ma anche a quelle che potrebbero rimanere aperte, ma sono comunque costrette a chiudere per mancanza di clienti in conseguenza delle restrizioni alla circolazione delle persone.
Quali sono dunque i rimedi che l’ordinamento giuridico prevede per i casi come questo?
Cosa succede se l’immobile non può essere utilizzato a causa dei decreti che impediscono l’apertura degli esercizi commerciali?
E’ possibile invocare la causa di “forza maggiore” per sospendere i pagamenti dei canoni di locazione o di affitto delle aziende?
Va detto subito che allo stato non vi sono provvedimenti che autorizzino la sospensione del pagamento dei canoni di locazione in favore di aziende, imprenditori, associazioni le cui attività sono stato sospese.
Infatti, né il D.P.C.M. del 22 marzo 2020, né i decreti emanati in precedenza, contengono delle disposizioni normative che prevedono la sospensione o riduzioni dei canoni di locazione.
Ciò che è stato previsto dal decreto ’’Cura Italia’’ del 22 marzo è soltanto il meccanismo del credito d’imposta, da usare in compensazione, nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, peraltro relativo soltanto al mese di marzo 2020. Quindi le aziende dovranno pagare comunque pagare l’affitto, affitto che successivamente potranno portare in detrazione nella misura del 60%.
La soluzione alla questione della sospensione o riduzione temporanea del canone deve quindi essere cercata nelle disposizioni ordinarie contenute nel Codice civile.
La problematica della sospensione/riduzione del canone deve essere inquadrata considerando che, nonostante l’immobile sia ancora nella disponibilità del conduttore, quest’ultimo non lo può utilizzare in ragione dei provvedimenti normativi emergenziali sopra ricordati; pertanto l’impossibilità di svolgere l’attività, non è imputabile a nessuna delle parti (né il conduttore, né il locatore hanno colpe) ma è dovuta ad una emergenza straordinaria di tutela della salute. Il conduttore, inoltre, non ha interesse a sciogliere il contratto, avendo anzi ancora più interesse ad esercitare l’attività nello stesso immobile, passata l’emergenza
Prima di esaminare le norme contenute nel codice civile, occorre premettere che il problema non riguarda quindi le abitazioni, ma i locali adibiti ad attività commerciale o produttiva.
Occorre, inoltre, considerare che la normativa specifica dei contratti di locazione commerciali è contenuta nella legge 392/1978; tuttavia le disposizioni di questa legge non offrono soluzioni per le parti che sono intenzionate a tenere in vita il contratto; infatti l’art.27 della legge 392/78 prevede il recesso del conduttore in presenza di gravi motivi che non consentono la prosecuzione del rapporto: in questo caso peraltro il conduttore sarebbe comunque tenuto a pagare le sei mensilità previste a titolo di preavviso.
Tuttavia, nella situazione attuale, ci troviamo di fronte ad una impossibilità temporanea per il conduttore di pagare il canone di locazione; inoltre è interesse del conduttore, appena finita la fase emergenziale, di riprendere l’attività proprio nei locali in cui veniva svolta prima della chiusura.
La possibile soluzione del problema va cercata quindi nelle disposizioni generali sulle obbligazioni contenute nel Codice Civile.
Come si è ricordato l’attuale situazione impone una impossibilità temporanea sopravvenuta alle aziende di continuare l’attività.
E di impossibilità temporanea della prestazione parla appunto l’art. 1256 del Codice Civile; secondo questa norma: “l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
Un’altra norma da richiamare è l’art. 1464 del Codice civile, il quale prevede che “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”.
La giurisprudenza ha poi precisato che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno. In buona sostanza, l’impossibilità sopravvenuta si ha non solo quando il locatore non può più garantire il godimento dell’immobile perché, ad esempio, è stato gravemente danneggiato, ma anche quando il conduttore, pur permanendo l’idoneità all’uso dell’immobile, non può comunque utilizzarlo per lo scopo per il quale era stato stipulato il contratto.
Quindi le disposizioni delle autorità che impongono la sospensione delle attività commerciali e imprenditoriali non essenziali costituiscono quella causa di forza maggiore che rende impossibile al conduttore di poter utilizzare (temporaneamente) l’immobile. Il concetto, peraltro, vale anche per gli affitti di azienda.
Durante la vigenza di queste disposizioni, quindi, stante la temporanea impossibilità di utilizzazione dell’immobile da parte del conduttore per fatto non imputabile né a quest’ultimo, né al locatore, il contratto di locazione può considerarsi “sospeso”.
Ne consegue che, qualora il conduttore fosse citato in giudizio dal locatore per il pagamento dei canoni dovuti nel periodo di durata dei provvedimenti di sospensione della loro attività, potrà legittimamente invocare le norme sull’impossibilità sopravvenuta a giustificazione dell’inadempimento.
Per le aziende ed esercizi commerciali che rientrano nelle eccezioni alla sospensione generalizzata potrebbe però essere più difficile sostenere che sia venuta meno la possibilità di fruire della prestazione del locatore.
Il conduttore, in questo caso, dovrà fornire la prova rigorosa che l’applicazione delle disposizioni emergenziali ha determinato l’impossibilità di fatto di poter utilizzare l’immobile: potranno eventualmente chiedere una riduzione del canone invocando la difficoltà di applicazione delle misure relative al mantenimento delle distanze di sicurezza tra i clienti in relazione alle caratteristiche dell’immobile.
In quest’ultimo caso potrebbe essere invocato anche l’art. 1467 del Codice Civile sull’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.). La norma, infatti, prevede che qualora si verifichino eventi che rendano eccessivamente oneroso il contratto sottoscritto e sproporzionatamente gravoso l’adempimento in capo ad uno dei contraenti, le parti possano evitare la risoluzione del contratto modificandone le condizioni; sul punto il locatore potrà essere invitato a rinegoziare, temporaneamente o definitivamente il contratto di locazione, fino al perdurare della crisi economica. In ipotesi di accettazione si procederà alla registrazione della modifica contrattuale, anche al fine di una riduzione delle imposte a carico del locatore
Alcuni consigli pratici
a) Il primo consiglio è quello di quello di evitare di autoridursi o sospendere immediatamente il pagamento del canone: il locatore, in assenza del pagamento dei canoni, sarebbe legittimato infatti ad agire per recuperarli e per promuovere un procedimento di sfratto per morosità. Occorrerà invece cercare una soluzione bonaria con il proprietario dell’immobile: il conduttore, dovrà quindi contattare il locatore per verificare la disponibilità di quest’ultimo ad una sospensione o, eventualmente, una riduzione temporanea del canone di locazione; raggiunto un accordo verbale in questo senso, si dovrà procedere a formalizzare per iscritto lo stesso attraverso una scrittura privata o, quantomeno, attraverso uno scambio di corrispondenza tra conduttore e locatore. A tutela di entrambe le parti, conviene infatti tenere traccia scritta di ciò che si stabilisce.
L’opzione della scrittura privata dovrà essere preferita se le parti intendono registrare (ma non vi è obbligo in questo senso) il nuovo accordo presso l’Agenzia delle Entrate anche al fine di una riduzione delle imposte a carico del locatore: bisogna infatti ricordare che, in mancanza di registrazione del nuovo accordo, il locatore sarà comunque tenuto a versare le imposte sulle somme “maturate” (cioè quelle che risultano da contratto) anziché su quelle effettivamente incassate (e ciò ai sensi dell’articolo 26 del Testo unico delle imposte sui redditi).
La registrazione di questo accordo, che si limita a modificare parzialmente il contratto di locazione, non costituisce un nuovo contratto e, pertanto, non è soggetto a imposta di bollo né a tassa di registro.
b) In caso di rifiuto del locatore a concedere la sospensione o la riduzione del canone, è consigliabile che il conduttore formuli comunque per iscritto al locatore la propria richiesta di sospensione o, a secondo delle circostanze, di riduzione del canone della locazione per tutto il periodo dell’emergenza sanitaria, motivandola con la impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali, per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili).